Quantcast
Channel: Rumore di fusa
Viewing all articles
Browse latest Browse all 470

Morte in dicembre

$
0
0
Dicembre, poco prima dell’Immacolata: all’alba i campi si svegliavano brinati, la luce del sole restava soffusa e zuccherina fin verso metà mattina, gli uccellini frullavano tra i cespugli mentre grossi fagiani perlustravano le zolle, becchettando di tanto in tanto.
Era stata una mattina di spari.
L’ultimo era esploso in aria pochi istanti prima che io uscissi di casa, dopo pranzo, insieme alla mia gatta. Eravamo solite fare un giro in giardino nelle ore più calde della giornata, per poi tornarcene in casa: io alle mie occupazioni, lei a poltrire come ogni buon gatto domestico. Non appena però la gatta svoltò dietro il magazzino, si irrigidì gonfiando il pelo, assumendo la posizione di caccia: aveva visto qualcosa.
Non riuscii a individuare nulla, finché non fui guidata da uno strano rumore, un rantolio: c’era un colombo a terra, visibilmente in difficoltà. La gatta si avvicinò con cautela e io feci altrettanto: il povero colombo cercò di allontanarsi, ma era come piantato nel terreno, terrorizzato. Pensai che avesse un problema alle ali, ma poi ricordai il colpo di fucile di pochi minuti prima: era stato sicuramente colpito da un cacciatore.
Tenni la gatta lontana per cercare di valutare meglio la situazione, ma come risultato ebbi che spaventai ancora di più l’animale ferito, che cadde a zampe all’aria: in quel momento vidi due piccole macchioline di sangue sul piumaggio del petto. Gli occhi del colombo mi fissavano atterriti, le zampe impiastricciate di fango, il corpo esposto ad ogni aggressione, mentre il suo rantolio si fece incontrollabile. Stava agonizzando.
Ma io non mi ero resa conto del tutto della gravità della situazione. Dentro di me, anzi, stavo elaborando un piano di emergenza: avrei sistemato l’uccello ferito in una cassetta e messo in un luogo riparato, sperando che si riprendesse. Il centro LIPU era chiuso - era sabato – ma potevo comunque provare a telefonare. Questo pensai, mentre prendevo la cassetta.
Solo pochi istanti e mi resi conto di quanto le mie idee fossero vane: appena mi avvicinai con la cassetta in mano, scoprii che l’uccello era morto. Le palpebre semichiuse avevano accolto il sonno definitivo per quella creatura che, inconsapevole, era morta tra i rantolii, il dolore e la totale vulnerabilità.
La mia ingenuità e la gratuità della sua fine mi travolsero come un fiume in piena.

Per cosa sei morto? Volavi mezz’ora fa. Stamattina hai aperto gli occhi come in una giornata qualsiasi, ti sei alzato in volo godendo dei raggi del sole, hai planato nell’aria fredda di dicembre. Finché un uomo ha deciso che oggi dovevi morire. Perché? Per quale motivo sei morto?

Due piccole lacrime mi si condensarono ai lati degli occhi. Quell’animale era morto gratuitamente: non rappresentava una minaccia; non c’era la necessità stringente di ucciderlo per cibarsi di lui. Eppure era morto, nel giro di pochi minuti il suo corpo era passato dalla più viva funzionalità all’immobilità definitiva. Una vita in meno su questo pianeta. C’era almeno una ragione? 
Fu la totale inutilità della sua morte a rendermela insopportabile e iniziai a piangere: per quell’uccello che non era più un uccello, ma era tornato ad essere semplice materia dell’universo; per me stessa, che stupidamente non mi ero resa conto della gravità della situazione; per l’umanità che uccide e domina sul pianeta, del tutto indifferente rispetto al male che produce.
Osservai meglio l’uccello: il piumaggio era liscio e lucido, pulitissimo. Ammirai le piume e le penne, che ne facevano una perfetta creatura volante. Una penna era innaturalmente fuori posto. Presi i guanti e la vanga, scavai una piccola fossa vicino ai bulbi di giacinto e tornai a prendere il colombo.
Nonostante i guanti, sentii che il corpo era ancora tiepido: il capino molle, le membra leggere e rilassate, il piumaggio perfetto, salvo quelle due macchie sul petto, le palpebre non del tutto abbassate, ma il becco era pieno di sangue.
Accomodai la creatura nella terra fredda, appena scavata: il gelo si sarebbe presto appropriato di quel tepore vitale. Sistemai il capo del piccione nella maniera più decorosa possibile e a un tratto capii perché per noi umani è così importante la sepoltura: si dà dignità a una condizione che ha già reso inutile ogni decoro. Ma è importante, per chi resta, fare quest’ultimo gesto.
Faticavo ad accettare il fatto di dover soffocare quel corpicino tiepido sotto il terreno gelido; cominciai quindi solo a circondarlo di foglie e piccole zolle. Ma poi pensai che, nella terra, il suo calore in fondo non sarebbe andato sprecato.
Meglio alla terra che all’aria gelida: che il tuo calore nutra questa terra, che essa ti accolga materna.
Quando l’ebbi coperto del tutto, sistemai alcune grosse pietre sopra la terra smossa, per scoraggiare le volpi. Se poi queste fossero riuscite comunque a raggiungere l’uccello, sarebbe stato un destino naturale, in qualche modo utile e giustificato dalla sopravvivenza altrui.
Singhiozzavo ancora. Mezz’ora prima quella creatura volava libera in cielo, adesso si stava raffreddando per sempre sotto terra. Nessuna ragione valida a giustificare l'accaduto.
Dove era caduto il colombo, restava solo una penna.


La raccolsi e la portai in casa con me.

Viewing all articles
Browse latest Browse all 470

Trending Articles